RAI, L’AD SERGIO: SENZA IL CANONE IN BOLLETTA SI TORNEREBBE AD UN’EVASIONE AL 30%
Che la Rai non navigasse nell’oro era chiaro a tutti da tempo. Ma con l’aria che tira sul canone tra chi non lo vuole, chi lo vuole ridurre e chi vorrebbe cancellarlo per viale Mazzini diventa sempre più complicato pianificare futuro e investimenti.
E così in Vigilanza davanti ai membri della Commissione la presidente Marinella Soldi intona il de profundis su viale Mazzini: «Vorrei trasferirvi un senso di urgenza», spiega. Le casse, in buona sostanza, sono vuote.
«L’azienda, pur avendo chiuso l’ultimo bilancio in pareggio, affronta una situazione di indebitamento pari a 580 milioni di euro nel 2022. Per un rinnovo necessario delle forme di finanziamento, serve un piano industriale credibile e realistico da approvare a stretto giro e tassativamente non oltre il 2023»,
Come dire: senza soldi non si canta messa. Ma soprattutto con un debito che equivale, a più di un terzo, degli introiti da canone, «l’odiosa tassa» come la definiscono in molti non solo è necessaria ma indispensabile per salvare l’azienda. Insomma, «La Rai, per essere centrale nella vita degli italiani – ha chiarito – deve attuare la radicale trasformazione in media company digitale.
A questo scopo è essenziale portare a conclusione rapidamente il molto lavoro già fatto sui 3 piani di azione sinergici: Contratto di Servizio, Piano di Sostenibilità, Piano Industriale. Ma nello stabilire, attraverso il prossimo Contratto di Servizio, gli obiettivi e gli obblighi per la Rai dei prossimi cinque anni, bisogna avere cognizione e piena certezza delle risorse a disposizione, comprese risorse aggiuntive per un Piano industriale di trasformazione digitale».
«Nessun Paese europeo – ha detto ancora – oggi fa a meno di una media company finanziata pubblicamente. I servizi pubblici di alcuni paesi, in assenza di risorse aggiuntive, per finanziare un’inevitabile trasformazione digitale hanno dovuto fare scelte lucide ma amare. Confidiamo nell’azionista e nel lavoro di questa consiliatura perché questo non sia necessario per la Rai».
La ricetta dunque c’è: o si taglia o si finanza. Poi il nodo gender gap: «In Rai abbiamo – spiega – ottenuto una significativa riduzione del gender gap, sia in termini di carriere sia di retribuzioni tra il 2021 e il 2022. Uno sforzo che purtroppo non e’ stato fatto nell’occasione delle ultime nomine, in particolare per le direzioni delle testate giornalistiche, tutte al maschile: uno strappo grave alle policy di genere aziendali, ratificate proprio dal CdA un anno fa».
Quindi, tocca all’Ad Roberto Sergio che chiarisce subito che il loro «approccio è tutto fuorché ideologico». E’ il primo punto che provoca a mettere in chiaro l’amministratore delegato della Ra riferendosi all’annuncio di dimissioni di Lucia Annunziata. «Fosse stato necessario – ha aggiunto -, ma non lo è stato, avremmo difeso il suo spazio». Poi, anche lui, torna sul nodo canone, il più basso tra i principali Paesi europei.
E ammonisce: «Qualora – pur in assenza di cogenti e ineludibili disposizioni comunitarie – si intendesse procedere ad una revisione del sistema di riscossione, sarà indispensabile valutare l’efficacia della soluzione alternativa e i correlati rischi, individuando le misure di mitigazione. Il Paese – ha aggiunto – non può rischiare di regredire ricorrendo a modalità che possano caratterizzarsi, come la precedente, per un’evasione del tributo del 30%, con tutte le conseguenze sulla continuità aziendale».
Estratto dell’articolo di Paolo Festuccia per LaStampa.it